Per le strade del Paese degli Sperduti si respirava un’aria triste e funesta, un’atmosfera cupa e tetra: addirittura il tempo si fermava in quel luogo tanto introvabile quanto inaccessibile, intimorito dal silenzio sepolcrale dominante la desolata piana su cui sorgeva il paesello; solo lo spazio infinito, padrone di quel quieto caos, osava prolungarsi nel nulla, dando ad esso una forma, un volto pietrificato dall’essenza di quegli attimi effimeri che mai sarebbero ritornati.
Le viuzze ricoperte di ciottoli lisciati dal continuo andirivieni di carri, cavalli e uomini non venivano solcate da nessuno quel giorno, se non da una sola entità, che con il suo sorriso sghembo e il suo abito appariscente restituiva colore a quella fetta di mondo ormai sfiorita. Solo, Arlecchino combatteva assiduamente contro i pensieri generati dalla sua testa, che continuamente gli suggerivano frammenti di ricordi sbiaditi, ma rimasti aperti come squarci sulla pelle di un condannato, intoccati e lasciati perdere, nella speranza che il Sole, gli animali e il passare degli anni rendessero il corpo martoriato della vittima irriconoscibile anche alla sua anima assetata di vendetta.
Si ripeteva che quel funesto periodo sarebbe volato via così come le parole scivolavano perpetue dai cuori dei personaggi omerici, e che il resto del mondo, quello a tutti conosciuto, avrebbe presto terminato di travestirsi forzatamente, mancando di rispetto a chi veniva identificato dal costume costretto a portare. Lui fra tutti gli altri si sentiva più vulnerabile, poiché la sua figura veniva soventemente affiancata alla spensieratezza e alla gioia più sconfinata in confronto agli altri suoi compaesani, quando quel povero personaggio non possedeva nemmeno un briciolo della tanto narrata felicità attribuitagli. La povertà che lo aveva accolto alla nascita non smetteva di accompagnarlo fedelmente, assieme al vestito formato da toppe di tessuto raccattate chissà dove, come un cane con il suo padrone, e così come agli albori apportava le stesse problematiche: e nonostante il viso scavato per i sacrifici, le mani corrose dalla pioggia e dalla neve, le gambe smilze per il costante camminare, Arlecchino si rendeva sempre conto di quanto il singolo concetto dell’esistenza ispirasse meraviglia e sconfinatezza.
Lui, tuttavia, custodiva gelosamente un qualcosa di cui non tutti godevano: una motivazione per sorridere agli ostacoli, tanto scontata quanto complessa; l’amore lo portava dovunque volesse, senza tenere conto degli sforzi estenuanti che la sua povera marionetta compiva, facendo sì che, per passare del tempo con la sua amata Colombina, eseguisse qualsiasi suo ordine.
Nemmeno Colombina vantava di un trascorso gioioso e traboccante di positività, visto che spesso veniva scambiata per ciò che non era; una bambola di pezza da usare come ripiego nelle situazioni più scomode, ma allo stesso tempo era anche identificata come una scaltra ladra, che oltre a rubare cuori e anime, portava via con sé privilegi e vantaggi sociali, vendendosi e rendendosi ridicola. I tentativi di smentire quelle voci pungenti e aspre continuavano a venir spezzati dalle malelingue che le riproducevano con una facilità quasi affascinante, e spesso, proprio per promuovere la cessione di quei sussurri taglienti come lame di rasoi, lasciava che questi “signori”, persone più alte di lei gerarchicamente ma non mentalmente, la sfruttassero per i loro loschi scopi.
E mentre ormai la ragazza si era rassegnata alla disperazione e alla solitudine, una luce accecante entrò nella sua vita con prepotenza inaudita, e con una tanta inaspettata delicatezza le porse una mano con cui rialzarsi.
Nessuno avrebbe mai detto che una coppia tanto disastrata sarebbe durata nei secoli fino a raggiungere una sfumatura leggendaria, così come nemmeno una singola anima avrebbe mai scommesso un soldo quando, incontratesi le due entità e scambiato un bacio, i due corpi ancora uniti si facevano sorprendere dallo spazio che si richiudeva sopra le loro teste, simbolo che anche quel Carnevale era trascorso, segnale che avrebbe avuto nuovamente luogo e che avrebbe successivamente scongelato tutti gli Sperduti, viventi in un ciclo continuo di commiserazione e di mera sopravvivenza.
Lovati Carola Joséphine, IIAC