Plock, Polonia, gennaio 2021. Elżbieta Podlesna, Anna Pruss e Joanna Gzyra-Iskandar, tre attiviste polacche per i diritti umani sono state processate. Il crimine? Aver appeso in città dei poster che raffiguravano la Madonna con un’aureola dai colori dell’arcobaleno, il noto simbolo della comunità LGBTQ+. L’accusa, divenuta ufficiale nel luglio del 2020, è stata quella di aver appeso i suddetti poster in luoghi pubblici nella città di Plock e di avere in questo modo “insultato pubblicamente un oggetto di culto religioso con la loro rivisitazione dell’immagine, offendendo l’altrui sentimento religioso”.
La prima di loro ad essere arrestata è stata Podlesna, nel luglio del 2019, in seguito ad un raid avvenuto nel suo appartamento, seguito da un lungo interrogatorio. Dopo questo arresto, alcuni esponenti del Partito conservatore polacco avevano annunciato su Twitter, senza alcuna traccia di esultanza, che qualcuno era stato arrestato per la profanazione della Madonna di Częstochowa.
Le tre attiviste hanno rischiato due anni di prigione per il loro gesto, dal momento che l’articolo 196 del codice penale polacco prevede una forte limitazione al diritto di espressione e di parola.
Il processo si sarebbe dovuto tenere a novembre 2020, ma è stato rimandato a gennaio di quest’anno. Per fortuna, il tribunale di Plock ha stabilito che non vi fosse prova di alcun crimine: la diffusione dell’immagine non era volta ad offendere nessun credo religioso, bensì a difendere coloro che oggi subiscono discriminazioni in Polonia. Il giudice Agnieszka Warchol ha ribadito che l’obiettivo del loro gesto consistesse appunto nel supportare la comunità LGBTQ+ e nel difenderne i diritti. Nonostante le tre attiviste riconoscano positivamente che il giudice abbia pronunciato dei discorsi di supporto alla loro causa, affermando che l’arcobaleno non costituisce una blasfemia né un’offesa per nessuno e per nessuna fede religiosa; oltretutto la loro battaglia non è ancora finita: l’accusa ha annunciato che farà ricorso.
L’azione delle tre attiviste era arrivata in risposta ai discorsi tenutisi nella chiesa locale, che associavano la comunità LGBTQ+ al peccato e al crimine: Podlesna, Pruss e Gzyra-Iskandar hanno dichiarato di aver agito in questo modo per proteggere coloro che la Chiesa cattolica in Polonia aveva attaccato, nonostante si fosse dichiarata piena di amore. Elżbieta Podlesna durante un’intervista per la BBC, ha detto che nessuno dovrebbe essere escluso dalla società, poiché l’orientamento sessuale non è un peccato né un crimine e ha affermato con sicurezza che la Madonna proteggerebbe chi è perseguitato in questo modo dai membri della Chiesa, che condannano le persone ritenute diverse con così tanta facilità; a queste parole, diversi rappresentanti politici, tra cui il Ministro dell’Interno polacco Brudzinski, hanno risposto che nessuno dovrebbe permettersi di “profanare” un’immagine religiosa. Per rispondere a tali enunciazioni, tutte e tre le attiviste, hanno affermato di volere combattere contro la dilagante cultura della paura (sostenuta, purtroppo, da movimenti politici) che inizialmente aveva preso di mira gli immigrati nel Paese, per poi individuare un nuovo capro espiatorio nella comunità LGBTQ+.
Questo evento ha visto messi alla prova il diritto alla libertà di espressione e di parola in un Paese contrassegnato da un governo fortemente conservatore, dove la Chiesa Cattolica gode di una posizione estremamente influente nell’opinione comune, e talvolta anche nel dibattito politico: secondo Amnesty International, quest’emblematica vicenda corrisponderebbe a un più ampio sistema di intimidazione e persecuzione nei confronti degli attivisti per i diritti umani in Polonia, Paese che ad oggi tra i più omofobi dell’Unione Europea. In rafforzamento di questa tesi, si può riportare che il Presidente Duda, eletto per il suo secondo mandato nel 2020, durante la campagna elettorale ha proposto di abolire qualunque concessione riguardo le unioni di coppie dello stesso sesso o adozione da parte di queste; attualmente, proprio come annunciato, in Polonia non è riconosciuto per le coppie LGBTQ+ alcun tipo di unione (matrimonio o unione civile) e non è permessa l’adozione. Ad oggi diversi manifestanti sono stati multati per aver appeso bandiere arcobaleno su monumenti pubblici nel corso del 2020, e infine, a sostegno dei manifestanti, l’Unione Europea ha negato i fondi alle città polacche che si erano proclamate “LGBT-free zones”.
Per l’attenzione mediatica attirata dall’immagine della Madonna alterata, questa aureola con l’arcobaleno è diventata ormai un simbolo di protesta riconosciuto a livello nazionale in Polonia.
Alessandra Perinetto 4^BC