Le giornate iniziano ad allungarsi, gli uccellini sono tornati a cantare, soffia una dolce brezza, gli alberi riprendono il loro color verde, macchiati da fiori di vario colore: in tutte le cose, perfino in noi umani, si stanzia una nuova energia.
Con questi segnali, diventa chiaro a tutti che l’inverno abbia lasciato il posto alla primavera. Tali sensazioni sono ben radicate nell’immaginario collettivo dell’umanità fin dall’alba dei tempi: si possono ritrovare questi elementi anche nella produzione letteraria e poetica del mondo occidentale, come in quella del poeta latino Tito Lucrezio (vissuto nella prima metà del II secolo a.C.), del poeta Francesco Petrarca (1304-1374) e del poeta inglese Geoffrey Chaucer (1343-1400).
Alla luce di queste affermazioni, cercherò analogie e differenze tra la concezione della primavera di ciascuno dei tre poeti sopra citati, provando anche a vedere se esse corrispondono in parte alla nostra.
Per fare ciò, anzitutto prenderò in considerazione il sonetto CCCX del Canzoniere di Petrarca, poi i versi che vanno dal V. 1 al V.18 (il cosiddetto General Prologue) de The Canterbury Tales di Chaucer e infine la parte che va dal V.10 al V.30 del poema filosofico De rerum Natura di Lucrezio.
Il primo tratto che accomuna i tre passaggi e che mi ha dato l’idea per sviluppare questo articolo, è la presenza di Zefiro (o Favonio): Zefiro è il vento (spesso mite) che soffia da ovest, e viene associato all’arrivo del bel tempo e alla fine del freddo, segnando così l’inizio della primavera e la conclusione dell’inverno; tutti e tre i poeti hanno pensato che Zefiro fosse portatore di una qualche forza naturale che infonde energia e desiderio di vivere, di amare e di muoversi.
Come esempio di animali rinvigoriti in primavera, sono stati scelti gli uccellini che iniziano a librarsi nell’aria, a volare, che cantano armoniosamente, accompagnando lo sbocciare dei fiori; essi eseguono tutto queste azioni proprio perché colpiti nel cuore dalla forza naturale portata da Zefiro.
Per rappresentare la rinascita degli altri elementi naturali, tutti i poeti concordano ancora nell’evidenziare che fiori, prati, mari, monti, i fiumi e l’aria stessa sembrino essere più brillanti, più luminosi, pieni di vita e, per l’appunto, “rinati” dopo il periodo invernale, invece “morto”.
Se, da un punto di vista “sensoriale”, i tre si trovano in accordo sui fenomeni della primavera, per quanto riguarda il significato personale di queste figure stagionali, invece, esprimono divergenti opinioni, influenzate certamente dal periodo storico in cui vivevano. Lucrezio, un epicureo (e quindi un agnostico) racconta, per semplice convenzione letteraria, che la primavera fosse portata dalla dea Venere, a cui il poeta si affida per mantenere la pace e per venire aiutato nella composizione del poema. Petrarca, invece, in forte antitesi con la natura che lo circonda, la osserva tutta in modo triste e aspro, essendo sconsolato per la mancanza della sua amata Laura, una figura centrale nel suo Canzoniere, ormai morta. Infine per Chaucer, l’arrivo della primavera stimola negli uomini un nuovo desiderio di viaggiare e visitare posti stranieri, ma soprattutto di andare in pellegrinaggio a Canterbury, dove è sepolto il martire Thomas Becket.
Io, invece, spero solo che Zefiro soffi via il virus e che l’energia primaverile aiuti, alla fine di tutto, a far ripartire la vita.
Milo Legnani 3^AC