“Non dirmi che…” disse Jasm.
“Mi dispiace ragazzi… la vado subito a cercare”
“Non provarci! Sta piovendo la cercheremo domattina tutti insieme, ci sarà un hotel!” rispose Allison.
“Meglio scrivere ai nostri genitori” dissi, ma non c’era campo.
Ci mettemmo a correre fino a quando non si presentò davanti a noi una casa, anzi, un’enorme villa ottocentesca: era abitata.
Dopo un attimo di esitazione decidemmo di suonare il campanello e ci aprì un vecchio signore sulla cinquantina, alto, in vestiti da notte, con i capelli bianchi e un’aria ambigua.
“Posso aiutarvi?” chiese.
“Sì… ci siamo persi” rispose Jenny.
“Sarebbe così gentile da ospitarci per una notte? Gliene saremmo davvero grati” domandò Allison.
“Certo accomodatevi”
Non ce l’aspettavamo davvero, ma entrare lì dentro fu il più grande sbaglio della nostra vita. Accese il camino e ci sedemmo lì intorno: io, Allison e Jasm sulle poltrone, Mike e Jenny sulle coperte per terra. Il padrone di casa ci portò cinque minestre calde con un bicchiere d’acqua e si accomodò sull’ultima poltrona.
“Ci conosciamo?” chiese Jasm.
“Non credo, mi ricorderei di sicuro di una bella ragazza come te!” rispose, quel commento mi sembrò a dir poco allarmante, ma mi calmai subito, del resto era un adulto che si comportava in modo rispettoso nei suoi e nei nostri confronti.
“Come si chiama?” domandò Mike.
“Adam Cooper, molto piacere, so che starete qui solo per una notte, ma ci sono alcune regole: non dovete girovagare né mangiare oltre la mezzanotte e per nessuna ragione dovete entrare nella stanza di destra al terzo piano”.
“Cosa c’è nella stanza di destra al terzo piano?” chiese Allison.
“Non dovete entrarci” rispose con tono severo “le vostre camere sono al secondo piano”. Nessuno aprì bocca e finito il pasto salimmo al secondo piano. La scalinata era in marmo e l’intera casa sembrava uscita da un libro di Jane Austen: era meravigliosa. Stavamo per dirigerci verso le camere, quando Jenny continuò a percorrere le scale.
“Jenny che fai!” disse Mike.
“La storia del terzo piano mi ha incuriosita, vado a vedere”
“Oh no Jenny, pessima idea” si innervosì Jasm “ci è stato proibito!” “Andiamo, che sarà mai”.
Fu irremovibile. Alla fine la seguimmo tutti un po’ incerti, ma non potevamo lasciarla da sola. Quando aprimmo la porta ci ritrovammo davanti una stanza dalle pareti ricoperte di carta da parati a strisce viola e verdi, con ogni angolo impolverato e solcato da ragnatele; decine di mobili con
poggiati sopra… dei libri. Scaffali e scrivanie piene di volumi scritti a mano su fogli di carta, alcuni anche stampati, probabilmente con la vecchia macchina da scrivere posta sulla mensola alla nostra sinistra, che mi sembrò avere almeno duecento anni.
“Cosa… libri?” disse Mike “ ci siamo preoccupati tanto per dei libri?”
“A quanto pare… “ risposi.
Non erano libri qualsiasi: erano libri horror ed erano tutti scritti dal signor Cooper. Mi ritrovai tra le mani “Il labirinto”, romanzo che narra la storia del giovane Nick, ragazzo timido e coraggioso che venne rinchiuso da uno psicopatico in un labirinto sotterraneo. La vicenda non aveva un lieto fine.
“Kevin, vieni qui…” mi chiamò Jasm.
Andai verso di lei e mi mostrò un libro non ancora terminato: “Il taglialegna”. Lei mi guardò e io la guardai, ci capimmo all’istante: era probabile che il signor Cooper fosse l’uomo visto nel bosco. “Dobbiamo andarcene” disse.
Intanto chiesi a Jenny se avesse letto il libro, avendo raccontato la storia durante il campeggio: “No, era una vecchia storia che mi raccontava mio padre per spaventarmi” rispose contrastando la mia ipotesi.
“Non mi hai mai parlato di tuo padre… dov’è adesso?” domandai.
Non avrei dovuto: la mia invadenza la ferì, era più che evidente sul suo viso.
“Ecco… lui… ci ha abbandonati quando avevo cinque anni e mezzo…”
Decisi di non continuare la conversazione, avevo già parlato troppo.
Con un tempismo impeccabile il signor Cooper ci raggiunse nella stanza e ci mandò a letto infuriato. In effetti eravamo molto stanchi…
Potevo sentire il torpore crollarmi addosso, ma non volevo dormire: non era il momento. Dopo essermi alzato dal letto andai verso la finestra della mia camera, l’unica persona presente a parte me era Mike poiché le ragazze alloggiavano nella stanza accanto. Dormivano tutti, tutti a parte me. Spostai la tenda con la mia gelida mano e ne approfittai per perdermi nei miei pensieri: niente genitori, niente amici, niente signor Cooper e niente Jasmine. Solo io e quel silenzio tombale. Mi accorsi solo qualche minuto dopo che il braccialetto che portavo al polso destro, regalatomi da mia sorella, era sporco di fango. Cercai di pulirlo per bene, ma con l’oscurità che ricopriva la casa e il bosco circostante non riuscivo a vedere niente: non accesi le luci per paura di svegliare gli altri. I secondi passavano, anche troppo velocemente, sentivo il sonno assalirmi, ma volevo restare lì, a conversare con me stesso del più e del meno Non resistetti a lungo… mi addormentai per terra, accovacciato di fianco alla finestra, che io ricordi l’ultima parola che riuscii a pensare fu “casa”.
Ci risvegliammo verso le cinque del mattino, o almeno credo, ma non eravamo nei nostri letti: eravamo in una cantina, incatenati a delle sedie. L’unica cosa che riuscii a vedere prima di svenire dal panico furono cinque candele accese poste sul pavimento di fronte a noi.
Angelica Alfieri, I CS
Copertina a cura di Jacopo Parenti, I CS