Nelle scuole si parla molto della giornata della memoria del 27 gennaio, quando le forze armate statunitensi hanno varcato la soglia dei campi di concentramento liberando gli ebrei superstiti.
Ma esiste anche, nella storia italiana, un altro giorno importante da tenere ben in mente ovvero la GIORNATA DEL RICORDO, in memoria dei ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe dalle milizie jugoslave di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.
Questa giornata si celebra il 10 febbraio di ogni anno ma solo dal 2005… com’è possibile che una simile tragedia avvenuta nel nostro paese sia stata nascosta e dimenticata per almeno sessant’anni?
Ripercorriamo velocemente gli avvenimenti di quegli anni e torniamo indietro fino al crollo del regime fascista con la resa dell’8 settembre 1943 e al successivo scioglimento del partito.
Questo fatto ebbe ripercussioni anche nei Balcani, in Croazia e in Slovenia dove la disfatta dell’esercito aveva colpito le due città di Zagabria, capitale della Croazia, e Lubiana, capitale della Slovenia.
Tito, che guidava le forze politiche comuniste, si vendicò dei fascisti che avevano amministrato con terrore questi territori; essi insieme agli italiani non comunisti furono considerati nemici del popolo, torturati e poi gettati nelle foibe.
Quest’ultime sono delle insenature naturali, caverne verticali presenti in gran quantità nelle zone carsiche del Friuli Venezia Giulia; rappresentavano delle vere e proprie trappole naturali che impedivano l’uscita o la risalita delle persone al loro interno.
Le uccisioni avvenivano in maniera crudele: i condannati venivano legati con un lungo filo di ferro ai polsi e schierati lungo gli argini delle foibe, i militari aprivano il fuoco ferendo solo i primi della catena i quali, cadendo nell’abisso, trascinavano con sé gli altri, condannati a vivere fino alla loro morte sui cadaveri dei loro compagni con sofferenze inimmaginabili.
Nelle foibe finirono carabinieri, poliziotti, guardie di finanza, militari e collaborazionisti fascisti.
Alcune uccisioni sono rimaste impresse nella memoria: una per tutti ricordiamo Norma Cossetto, studentessa istriana, figlia di fascisti, che non volle aderire al movimento partigiano; per questo fu arrestata, torturata e gettata ancora viva nelle foibe.
Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – furono almeno 20mila. Ad essi si aggiunge la vicenda degli esuli italiani, almeno 250mila.
Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi di maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.
Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma.
Questo causò due ingiustizie: in primo luogo l’esodo forzato delle popolazioni italiane, istriane e giuliane che fuggivano a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche masserizie che potevano portare con sé e, in secondo luogo, il mancato risarcimento.
La maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo cercando una nuova patria: chi in Sud America, chi in Australia, chi in Canada e chi negli Stati Uniti.
Tutti questi fatti, però, sono rimasti nell’oblio per molti anni fino al 1989, quando il crollo del muro di Berlino e la fine del comunismo sovietico fecero emergere questi episodi violenti.
Il 3 novembre 1991 il presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga si recò in visita alla foiba di Basovizza e chiese perdono pubblicamente per questo silenzio omertoso.
In seguito, queste sofferenze riemersero e nel 2004 il deputato triestino Roberto Menia vide approvata la legge da lui proposta: il governo istituì il giorno del ricordo e fu scelta la data del 10 febbraio perché nello stesso giorno nel 1947 furono firmati i trattati di pace a Parigi.
Questi fatti, nonostante siano temporalmente lontani da noi, sono tornati a far parte della nostra quotidianità in modo prepotente: proprio in questi giorni sentiamo ancora parlare di persone che, a seguito di guerre e bombardamenti, abbandonano le loro case in cerca di un posto sicuro.
Si spera che ciò scritto nei libri di storia non possa più tornare e che sia di insegnamento per non commettere più gli stessi errori di prima.
Ma anche questa volta la storia, con tutte le sue innumerevoli conseguenze, non è stata capace di far ragionare le persone.
Rebecca Testa 4AE