Antonio José Bolívar, protagonista del romanzo di Luis Sepulveda, era un uomo sulla sessantina che viveva nella semplicità di un piccolo villaggio sudamericano, El Idilio, in un’esile capanna di canne. Astuto osservatore ed esperto della foresta, egli sapeva leggere ma non scrivere, eccetto uno scarabocchio che indicava la sua firma.
Leggeva lentamente, “mettendo insieme le sillabe, mormorandole a mezza voce come se le assaporasse, e quando dominava tutta quanta la parola, la ripeteva di seguito. Poi faceva lo stesso con la frase completa, e così si impadroniva dei sentimenti e delle idee plasmati sulle pagine”. Antonio José Bolivar è spinto dal bisogno umano di comunicare, di trasmettere, di dare ordine ai suoi pensieri e cerca così di farsi piccolo davanti all’immensità di ogni singola parola che “domina” come se questa fosse animata, come un bimbo che prova a dare vita alle sue prime sillabe.
La parola, infatti, intesa come complesso di suoni e accenti, è il mezzo per comunicare con i nostri simili, in quanto racchiude in sé l’idea o il concetto a cui rimanda.
Pensiamo, ad esempio, al linguaggio poetico, in cui il messaggio è la parola stessa: quanto è importante la scelta del suono, che si trasforma poi in lessico, per un poeta?
La sua scelta è tanto importante quanto l’effetto che vuole suscitare in noi quando leggiamo la sua opera, identificando i profumi, le immagini, i suoni e le sensazioni: non è un caso, infatti, che il poeta venga descritto come colui che è dotato “di un grado notevole di immaginazione e di sentimento”, a volte anche in tono dispregiativo poiché “troppo distante dalla realtà, che eccede nelle fantasie”. Ma ciò che rende tale un poeta, è la sua estrema sensibilità: osservando attentamente, meglio di uno scienziato, la natura in cui vive, riesce a cogliere a pieno il messaggio e ha bisogno di esternarlo, di comunicarlo alla sua popolazione, nella sua lingua.
Una scelta attenta e paziente delle parole che usiamo si può quindi tradurre nell’amore per ciò che si pensa, per il proprio processo di elaborazione, per l’essere umano.
Così, come Antonio José Bolivar, quando un passaggio gli piaceva particolarmente, “lo ripeteva molte volte, tutte quelle che considerava necessarie per scoprire quanto poteva essere bello anche il linguaggio umano”.
Rebecca Guzzetti 3BS