Il 15 novembre si è tenuto a San Francisco, California, un incontro tra i leader delle due più grandi superpotenze mondiali: il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping. Questo summit segna un avvicinamento positivo nelle relazioni tra USA e Cina, dopo un lungo e protratto periodo di tensioni che si erano specialmente acuite all’inizio dell’anno, quando un presunto pallone aerostatico cinese aveva sorvolato il territorio degli Stati Uniti. L’incontro, il primo di persona tra i leader dopo quello del G20 di Bali nel novembre dell’anno scorso, si è svolto a margine dell’APEC, un forum intergovernativo annuale a cui partecipano i membri di ventuno paesi della regione asiatica.
Il summit si è aperto positivamente con il presidente statunitense che ha ricordato come “È fondamentale che io e lei ci capiamo reciprocamente in modo chiaro” poiché “per due grandi Paesi come Cina e Stati Uniti voltarsi le spalle non è un’opzione” e al termine delle quattro ore sono stati raggiunti alcuni passi in avanti sui temi in agenda:
- È stato raggiunto un accordo sul clima: le due nazioni, che sono tra i più grandi produttori al mondo di gas-serra, hanno raggiunto un accordo che prevede l’introduzione di una serie di misure aggiuntive contro il cambiamento climatico. Anche se quanto raggiunto è un piccolo step, comunque assume una certa importanza in vista della COP28, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a breve a Dubai.
- La Cina ha promesso di cooperare con gli Stati Uniti per contrastare il traffico di fentanyl. Questo oppioide sintetico ha raggiunto una vasta diffusione negli Stati Uniti, tanto da causare circa settantacinquemila morti lo scorso anno, e in parte la crisi in cui versano molte città come proprio San Francisco in cui il consumo di questa sostanza è ormai fuori controllo, causando gravi problematiche sociali. Dal momento che le aziende cinesi sono le principali produttrici della droga stessa, la Cina si è impegnata a reprimerle, anche se molti analisti dubitano che queste promesse si concretizzeranno.
- I due Stati hanno deciso di ristabilire le comunicazioni sul fronte militare, che erano state interrotte nell’agosto 2022 come ritorsione per la visita della speaker della Camera Nancy Pelosi sull’isola di Taiwan, la cui sorte è da lungo oggetto di discussione tra le due superpotenze. Taiwan è un piccolo stato insulare a riconoscimento limitato situato a est della Cina, a nord della Filippine, la cui sovranità è reclamata dalla Cina, ma gli Stati Uniti pur non riconoscendola come nazione autonoma continuano ad armarla e a mantenerci delle relazioni non ufficiali, vista la sua importanza strategica: ad esempio a Taiwan ha sede una delle più avanzate aziende produttrici di microchip al mondo, la TSMC.
La ripresa delle comunicazioni non porta certamente all’annullamento delle tensioni, ma serve per evitare l’escalation nella zona intorno a Taiwan oltre ad evitare pericolosi incidenti militari. A questo proposito Xi Jinping ha garantito che non ci saranno delle azioni militari imminenti ma ha anche invitato Biden a cessare di inviare armi a Taiwan. La situazione rimane quindi sempre tesa, specialmente in vista delle future elezioni sia nell’isola, sia negli Stati Uniti che potranno forse cambiare le carte in tavola.
Tuttavia al termine del summit, nel corso della conferenza stampa, il presidente Biden ha definito Xi come un “dittatore”, definendolo “un uomo che governa un Paese che è comunista” a cui è seguita la reazione cinese che ha definito la dichiarazione come “profondamente sbagliata”: un chiaro segnale che mostra come nonostante i punti positivi raggiunti, e l’entusiasmo di molti analisti per l’esito positivo dell’incontro, il lavoro da fare per un eventuale avvicinamento delle due potenze è ancora arduo.
Giovanni Testa 4^BC