Nel giorno 21 novembre è stato proclamato dal ministero dell’istruzione un minuto di silenzio in ricordo di Giulia e di tutte le donne vittime di violenza. Alle ore 11 le scuole italiane si sono fermate per sessanta secondi, ma non tutti gli studenti hanno deciso di rimanere in silenzio. In diversi istituti, infatti, i ragazzi e le ragazze hanno deciso di far sentire la loro voce facendo più rumore possibile. Come potrebbe in effetti un minuto di silenzio servire in questa situazione? Esso viene fatto in circostanze di lutto per piangere persone morte ma oggi, quando ogni 72 ore una donna viene uccisa, può davvero servire? Forse proprio perché questo silenzio durato anni è diventato assordante, i ragazzi italiani hanno sentito il bisogno di urlare, far sentire la propria voce, di far rumore per provare a cambiare questa situazione ormai inaccettabile. Questa necessità ha portato i giovani a riflettere sulla situazione odierna e ad andare contro alla decisione ministeriale facendo rumore con tutto ciò che avevano a disposizione: megafoni, applausi, fischi, libri e colpi sui banchi. Hanno deciso di trasformare un silenzio assordante in un grido comune non solo riempito da suoni di ogni genere ma anche da lacrime e riflessioni. La rete degli studenti infatti ha rilanciato l’ipotesi di una legge per una reale educazione all’affettività, alla sessualità e alle relazioni già a partire dalle scuole primarie.
L’idea di fare un minuto di rumore accolta da moltissimi ragazzi é partita dalla sorella di Giulia, Elena Cecchettin, che si è rivolta sui social ai suoi coetanei chiedendoli di non stare zitti, ma di “bruciare tutto” per la giovane ragazza uccisa dal fidanzato. Durante il suo appello Elena ha condiviso un brano risalente al 2011 della poetessa Cristina Torres Cáceres, il quale è oggi diventato manifesto dello sconcerto e del turbamento di migliaia di ragazzi che hanno acquisito la consapevolezza che dopo 106 vittime di femminicidio in meno di un anno non potevano più rimanere silenti ma dovevano urlare e fare sentire la propria voce per essere il grido di chi non c’è più e di tutte quelle ragazze che ancora oggi subiscono violenze fisiche o psicologiche.
”Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.”
Ferrini Gaia Elisa, 4AC