Nell’istante in cui riaprii gli occhi, vidi soltanto buio, nero, e null’altro. Tentai di muovere il mio corpo ma era come paralizzato; sotto di me percepivo un freddo umido che mi ricordava la terra dopo la pioggia, ma non sentivo nessun odore che confermasse le mie supposizioni. Non riuscivo a comprendere cosa fosse successo, dove mi trovassi. Provai a parlare nel tentativo di richiamare qualcuno: la mia voce riecheggiava attorno a me, ma allo stesso tempo suonava ovattata. Era possibile una cosa simile?
Lentamente riuscii a muovere il piede raschiando il terreno, pareva terra, proprio come pensavo. Riuscii ad alzarmi, alla fine, ma appena fui in piedi provai una forte stanchezza che quasi mi indusse a stendermi nuovamente per terra e chiudere le palpebre. Nonostante ciò presi a camminare al buio, protendendo le braccia in avanti nella speranza di incontrare delle pareti. Non sfiorai nulla; era come se stessi vagando in un eterno corridoio.
Non so quanto a lungo camminai, sembrava passata una vita intera. Pensai di essere in un sogno: mi pizzicai il braccio, ma non provai alcun dolore. Presi questo segno come la conferma di essere addormentato, ma come svegliarmi? Non avevo mai avuto un sogno lucido, non avevo idea di come comportarmi. Era normale apparisse così reale?
Avevo le braccia scoperte e sentivo un’aria gelida tale da farmi tremare, ma allo stesso tempo rovente, tanto da farmi venire la nausea. In che posto ero finito? Mi sentivo impazzire. Volevo così disperatamente svegliarmi e lasciare quel luogo, se luogo si poteva definire quel buio incessante.
Ma iniziavo davvero a pensare non fosse un sogno, di essere realmente in quel vuoto senza confini. No, non era possibile: come poteva esistere un posto simile?
Avrei avuto la mia risposta a breve.
Quasi come un lampo, una luce cremisi mi accecò. Quasi caddi dallo spavento, tanto fu improvvisa l’apparizione del bagliore. Grazie alla luce, fui in grado di vedere attorno a me: dinnanzi a me si stendeva un lungo sentiero in terra, nera come la pece, e nella distanza scorgevo delle montagne che quasi toccavano il cielo, anch’esso nero, senza l’ombra di una nuvola. Alzai gli occhi, per vedere la fonte della luce rossa: esattamente sopra la mia testa, vi era una luna, una luna rossa. Era veramente un sogno, dopotutto?
Non avendo altra scelta, seguii il percorso. Man mano che camminavo, l’aria si faceva sempre più opprimente: il gelo diventava intollerabile e la mia pelle sembrava aver perso ogni sensibilità, mentre il caldo mi rendeva difficile la respirazione, e la nausea mi salì per la gola. Mi chinai per vomitare, ma nulla uscì, come se non avessi nulla da rimettere, ma fosse solo una costante sensazione che non mi avrebbe lasciato.
Fui tentato di fermarmi, sdraiarmi sulla terra e chiudere gli occhi. Ma, in quell’istante, sentii un richiamo silenzioso. Non era una voce, non era una sensazione; era come se lo sapessi, senza che nessuno me lo avesse detto.
Proseguii, stremato, fino a quando le mie palpebre furono sul punto di chiudersi. Stavo per lasciarmi andare al sonno, quando guardai dinanzi a me: vi era un fiume scarlatto, del colore del sangue, esattamente davanti alla fine del sentiero, e un molo di legno scuro. Di fronte ad esso, un traghetto, con sopra una figura vestita di nero; era incappucciata, e non riuscivo a scorgere altri tratti del suo viso ad eccezione degli occhi, o quelli che parevano occhi, brillavano di rosso, come rubini. Quella vista mi provocava una sensazione di angoscia che mai avevo provato prima, e di… malinconia? A vederla pensai a mia madre e mio padre, senza sapere perché. Non ricordavo nulla.
Avanzai lungo il molo, produceva uno scricchiolio stridente ad ogni passo. Fissai nuovamente la figura incappucciata, che non smise mai di scrutarmi, senza un minimo suono o movimento. <<Scusi…>> mormorai, schiarendomi la voce.
<<Sali>> mi disse. La sua voce ricordava un sussurro profondo, il rumore del vento durante una notte burrascosa. Metteva i brividi, la sentivo dentro le ossa.
Esitai, intimorito, ma piano misi il piede sulla barca, e mi sedetti dietro il traghettatore. Questo mosse il remo che teneva in mano e lo affondò nell’acqua scarlatta, facendo avanzare lentamente l’imbarcazione. Restai in silenzio, ad ascoltare il fruscio dell’acqua che si spostava. Nessun altro suono era udibile: non sentivo il respiro del traghettatore, forse nemmeno respirava.
Parlai per primo. <<Cos’è quella luna rossa?>> dissi, guardando sopra la mia testa. Sembrava che la luna mi seguisse.
<<La notte>> udii la sua risposta, un altro sospiro.
Non capivo cosa intendesse. <<E’ notte? Non ho mai visto una luna rossa. E non vedo alcuna stella.>>
<<La notte è ovunque. E’ dentro di me; ed ora dentro di te.>>
Ciò che diceva non aveva senso, ma volevo saperne di più. <<Cosa significa che è dentro di lei? Chi è?>>
<<Ogni cosa è progenie della notte>> rispose soltanto.
Progenie della notte? Non riuscivo a comprendere. Scelsi di non dire più nulla, temevo mi sarebbe scoppiata la testa.
Il silenzio iniziava ad essere soffocante, ma ero terrorizzato all’idea di proferire nuovamente parola; non avevo idea di dove mi trovassi, di dove mi stessi dirigendo, e di chi avevo di fronte. Ad interrompere la quiete, con mia sorpresa, fu il traghettatore incappucciato. <<Non sarà un viaggio lungo.>>
<<Va bene>> risposi. Ingoiai la mia saliva, quasi come riflesso nervoso. <<Dove stiamo andando?>>
La figura sussurrò con tono cupo: <<La selva.>>
Aggrottai le sopracciglia. <<La selva? Che significa?>> domandai. <<Mi scusi, cos’è questo posto?>>
Rimase in silenzio tanto a lungo che temetti di non ricevere risposta. Ma poi parlò: <<Non ricordi nulla?>>
Sentii una sensazione lacerante allo stomaco. In quell’istante, vidi nella mia mente un’immagine: io, che camminavo in mezzo alla strada, la neve sul cemento. La visione durò meno di un secondo, e sentii una fitta alla testa.
<<Cosa… significa?>> chiesi, piano. <<Cosa dovrei ricordare?>>
Il traghettatore sussurrò, come un angelo della morte. <<Questo è l’oltretomba.>>
Non capivo. Non aveva senso. Non poteva essere. Dopo aver udito quelle parole, il mondo onirico attorno a me iniziò a sgretolarsi, l’aria soffocante dell’Inferno mi bruciava la pelle. Bruciava, ma non provavo dolore.
<<…sono morto…?>> sussurrai, rivolgendo la domanda più a me stesso che alla figura.
<<Non ricordi quella macchina?>> proseguì. Come prima, un’immagine apparve nella mia mente. Una macchina senza controllo a causa del ghiaccio, e che si avvicina a me senza che io possa muovermi.
Provai un improvviso dolore su tutto il corpo, come se ogni osso si fosse fratturato. Non riuscii a trattenere un grido… <<E’… questo che ho provato? Quando sono…>> mi bloccai. <<morto?>>
Vidi il traghettatore accennare di sì con il capo. Poi, la barca si fermò. <<E’ ora di scendere.>>
<<Aspetti!>> urlai. <<Cosa significa? Come posso essere morto? Perché…>>, lo chiesi, anche se dentro di me ero a conoscenza della risposta.
Non replicò. Trascinai a fatica il mio corpo tremante sul molo. Davanti a me si stendeva una fitta foresta, fosca come la cenere; gli alberi erano spogli, l’erba scura priva di fiori, solo ricoperta di rovi. <<La selva? E’ qui che vivrò per sempre?>>. Mentre dicevo ciò, sentii delle spine attorcigliarsi attorno alle mie gambe. <<Cosa…>>
<<E’ qui che morirai per sempre: nella selva dei suicidi.>>
Sentii le gambe cedermi, mentre le piante mi avvolgevano il corpo. <<Suicidi?>> mormorai, incredulo. <<Non potevo evitare quella macchina. Non sono stato io a togliermi la vita.>>
<<Non potevi,>> disse lentamente il traghettatore. <<o non volevi?>>
Qualcosa dentro di me morì: l’ultima parte di me che ancora era viva. Mi ricordai di tutto: mia madre, mio padre, tutto ciò che era sbagliato, tutto ciò che non sarebbe dovuto morire. Sorrisi. <<Ah. Ho capito>> Alzai gli occhi alla luna scarlatta, un’ultima volta. <<La notte è meravigliosa, non è vero?>>
E fissai il traghettatore, un’ultima volta. <<Grazie per il passaggio. Addio, Caronte.>> e mi voltai di spalle.
- Ispirato da “Son of Nyx” di Hozier.
Di Qual Vanessa 3CS