!! ATTENZIONE !!
Questa storia è totalmente inventata, senza alcun riferimento a fatti reali, e contiene scene aventi un linguaggio crudo, che potrebbe non essere adatto a tutti.
TW: sangue, omicidio, scene violente.
Io ed Este ci incontrammo all’università, quando avevo ventidue anni. Frequentavamo entrambe la facoltà di letteratura, e ciò che ci avvicinò l’una all’altra furono il nostro condiviso cinismo verso il mondo e l’amore di entrambe verso gli alcolici. Il nostro passatempo preferito era scrutare le vite altrui, lei in particolare sembrava affascinata dall’idea dell’esistenza di altri individui coscienti, che pensano, provano emozioni, prendono decisioni. Spesso alcune terribili. Si divertiva a osservare le persone e capire cosa gli passasse per la testa, cosa succedesse nella loro vita; ed essendo un’amante della musica spesso improvvisava dei motivetti canzonatori e ironici sulla vita dei suddetti. Le ricordo ancora vividamente, con estremo affetto.
Presto nacque una tradizione tra noi: ogni martedì sera alle 20 eravamo solite incontrarci all’Olive Garden vicino all’università, per una cena e un bicchiere di vino. E pettegolezzi per ore e ore, finché una delle due, solitamente lei, collassava per l’alcool.
Quel martedì sera però Este bevve poco, pareva più seria del solito: <<Tutto bene? Non hai ancora tirato fuori alcun gossip, e sono già le 20:13>> le chiesi dopo un sorso di vino.
Aveva il mento appoggiato sul palmo della mano, e guardava fuori dalla finestra con sguardo pensieroso. I nostri occhi si incontrarono per un secondo, e tirando un sospiro tornò a fissare altrove: <<Sono un po’ stanca, e non ho molto di cui parlare>>.
Feci un suono di scherno.<<In tutti gli anni che ci conosciamo non ricordo una sera in cui non hai avuto nulla da dire; sai che non puoi mentirmi su questo>>.
Lei aggrottò le sopracciglia e fece una smorfia. Si girò verso di me, guardandomi con un’espressione da cucciolo bastonato. <<Sono un po’ pensierosa>>.
<<Ho notato.>>
<<E preoccupata. E nervosa.>>
<<Non mi sorprende>> commentai sarcasticamente. <<Cosa è successo?>>. Sembrava esitante a parlare. Ma quando prese coraggio e aprì la bocca per spiegare, la fermai. <<Non porti la fede?>>
Il mio sguardo si era posato sulle sue mani, e sulla sua nuova manicure rossa. E notai che al dito anulare non portava alcun anello dorato, come suo solito ormai da anni. Non era affatto la normalità, e capì che il motivo per cui sembrava così tesa probabilmente riguardava suo marito. <<E’… non so cosa stia succedendo>>. Si interruppe, così le feci cenno di continuare. Prese un grande respiro. <<E’ un po’ che mio marito si comporta in modo diverso. Mi guarda a malapena, e torna sempre tardi. Quando provo a baciarlo a volte mi scansa, e sembra costantemente infastidito e distratto.>>
Mi morsi il labbro. <<Pensi abbia un’altra donna?>>
Este si sporse e mi si avvicinò. Feci lo stesso, e ci guardammo negli occhi. <<Taylor, la sua bocca odora di Merlot. Io odio il Merlot!>>
La mia amica ama poche cose più del vino rosso. Mi disse una volta che il suo desiderio prima di morire era assaggiare ogni sua qualità, e aveva ben chiare le sue preferenze per esso. Se una cosa era certa, è che mai e poi mai avrebbe provato nuovamente il Merlot. Per questo, dopo quella sua rivelazione, sapevo non ci fosse spazio per alcun dubbio.
<<Credo tu debba confrontarlo. E se le tue preoccupazioni sono fondate, devi lasciarlo>> le dissi, seriamente. Non volevo che la mia amica soffrisse.
Annuì con espressione sconsolata. <<Credo anch’io sia la cosa migliore>> sospirò. Il resto della serata passò normalmente. Come suo solito, verso le 23 la riportai ubriaca a casa. Incontrai suo marito all’entrata di essa, e dopo essermi accertata che si prendesse cura di Este mi girai per tornare a casa. Quella fu l’ultima volta che vidi la mia amica.
I due giorni successivi, Este rispose a malapena ai miei messaggi. Giovedì mi chiamò per dirmi che avrebbe parlato con suo marito, e dopo quel giorno non sentii mai più la sua voce. Tentai di chiamarla più volte, ma non rispose mai. Sembrava svanita nel nulla. La mia natura paranoica mi spinse a giungere alle peggiori possibilità, ma mi rifiutavo di crederci. Almeno, finché non controllai di persona.
Il martedì successivo mi recai a casa sua. Vidi su un palo un manifesto della scomparsa di Este, e come recapito telefonico individuai il numero di suo marito. Sorprendentemente, però, pareva aver preso bene la sparizione della moglie; una volta davanti all’abitazione della mia amica sentii delle risate dall’interno, una risata dalla voce femminile accompagnata da quella del marito di Este. Tentai di sbirciare all’interno, e la vista fu lacerante: l’uomo era in compagnia di una donna che gli accarezzava teneramente il braccio, e che indossava un abito cremisi che riconobbi come il vestito preferito di Este. I due stavano sorseggiando del vino. Del Merlot. Non avevo più dubbi.
Probabilmente parte di ciò che successe in seguito era da attribuire alla mia ossessione per i gialli e il true crime. Probabilmente ciò che ho fatto è da attribuire al documentario su un caso di omicidio avvenuto molti anni prima in quello stesso paese, e che vidi la sera precedente. Ma non posso negare ciò che feci quella notte.
Invitai il marito, o ex marito, di Este a casa mia per un semplice bicchiere di vino, e lui accettò. Ci conoscevamo, d’altronde, fui io a far incontrare i due. Non me lo sarei mai perdonato. Quando fu dentro gli offrii di togliersi le scarpe e mettersi comodo mentre gli versavo del vino. Lui mi chiese se avessi visto Este dopo quella sera, e gli risposi che quella fu l’ultima volta che la vidi. Quanto era scaltro, quell’uomo. Ma non sarebbe mai riuscito a scappare da ciò che le aveva fatto.
Successe in fretta. Ruppi la bottiglia di vino sul tavolo, facendo colare il liquido sulle assi di legno del pavimento. Lui scattò in piedi all’istante, probabilmente lo aveva già capito. Agitai freneticamente un pezzo di vetro rotto contro di lui, incapace di pensare razionalmente a causa dell’adrenalina che mi provocava la consapevolezza di ciò che avrei fatto. Lui tentò di difendersi, di bloccarmi, buttarmi a terra. Sentii un bruciore al braccio, e mi resi conto che aveva spinto il vetro contro esso, tagliandomi. Ma, dopo una violenta colluttazione, riuscii a lacerargli la gola. Non dimenticherò mai il suono grottesco della voce annegata nel sangue, il rosso che gli sgorgava dalla profonda ferita, e le sue ultime convulsioni prima di crollare a terra inerme. L’odore del sangue mi nauseava, ma mai quanto il fetore del Merlot sulla mia mano e per terra.
Ricordo le ore successive in modo confuso, quasi fosse stato un sogno. Per i primi dieci minuti sedetti immobile sul mio divano macchiato di rosso, pietrificata, tentando di processare ciò che era successo. Poi, capii che dovevo fare in fretta e ripulire ogni traccia. Andai nel seminterrato e presi un ascia da boscaiolo di mio nonno deceduto e dei sacchi della spazzatura. Tornai di sopra, ed esitai a lungo. Non ero nemmeno certa di poter fratturare le ossa con l’accetta, o di tagliare la carne per quanto mi riguardava; non sono mai stata dotata di grande forza fisica. Ma alla fine lo feci a pezzi. Fu faticoso, dovetti prendere qualche pausa per non svenire dalla stanchezza. Dopo aver terminato la vista era ripugnante: il mio tappeto era interamente dipinto di rosso e il tanfo del sangue insopportabile. Dovevo pulire quella scena al più presto. Fortunatamente per me avevo lavorato come domestica presso diverse anziane per pagare la retta dell’università, sapevo come togliere le macchie di pressoché qualsiasi cosa. Mi ci vollero quasi due ore per rimuovere ogni traccia, per lavare i miei vestiti e bendare il mio braccio ferito.
Una volta finito, presi i sacchi con dentro gli arti recisi e ancora sgorganti di sangue e il tappeto, nascondendoli nella mia macchina. Era quasi mezzanotte, e il buio mi aiutò a celare quell’orrore. Guidai per non so quanto, fino al lago in mezzo alla foresta: in quel preciso momento ringraziai mio padre per avermi costretta a prendere la patente nautica a quindici anni; lo odiai quando mi spinse a ottenerla, la reputavo inutile e uno spreco di tempo, quel giorno però gli fui grata per il tempo speso insieme sull’acqua. Mi salvò la vita.
Riuscii a prendere in prestito un’imbarcazione sulla quale caricai il corpo e il tappeto, non prima di aver legato delle rocce ad essi per assicurarmi che non riemergessero e nessuno mai li trovasse. Li buttai nell’acqua, nel mezzo del lago a notte fonda, quando l’unico suono udibile era il mio respiro tremante e il gorgoglio delle tracce del mio peccato che affondavano. Restai qualche minuto a respirare l’aria notturna e a ripensare alle canzoni di Este, la sua risata sarcastica, la sua voce che mi chiamava. Tutto ciò che ho fatto è stato per donarle la pace che si merita.
Quella notte non riuscii a dormire. Mi presi qualche giorno dal lavoro con la scusa di un’influenza, necessitavo di tempo per lasciarmi il passato alle spalle; vivevo con il terrore che qualcuno scoprisse ciò che era successo… Non potevo lasciare che nessuno lo scoprisse: dovevo vivere, lo dovevo ad Este.
Nelle settimane successive la scomparsa dell’uomo fu denunciata dalla sua amante, ormai unica padrona di quella che un tempo era casa della mia amica; la polizia venne a domandarmi se sapessi qualcosa di ciò che era successo, ma a quanto pare la donna sapeva che quella sera il suo compagno era uscito con me. Per fortuna, però, la sorella di Este testimoniò a mio favore: avevamo passato insieme quella notte a casa sua, a bere vino, per poi crollare ubriache. La donna con cui l’uomo era uscito era un’altra. Forse, aveva tradito anche lei.
Ad oggi, il mio peccato rimane celato nella gelida acqua del lago in mezzo ad un bosco dimenticato. Ieri ho visitato la tomba che ho fatto per Este, in quella stessa foresta, le ho portato un pasto da Olive Garden e una bottiglia del suo vino preferito, e, come ogni martedì sera, abbiamo cenato assieme. Come se fosse ancora lì con me.
- Ispirato da “No body, no crime” di Taylor Swift.
Di Qual Vanessa 3CS