Secondo le statistiche europee, circa 23,8 milioni degli abitanti dell’Unione Europea sono cittadini di Paesi extra UE, mentre 38 milioni di persone sono nate al di fuori dell’UE. I flussi migratori provengono soprattutto dall’Africa subsahariana e dall’Africa settentrionale, mediati dalla Tunisia, dalla Libia e dal Mediterraneo. A causa della guerra tra Russia e Ucraina, sono sempre maggiori gli spostamenti interni all’Europa; le altre principali cause di emigrazione, oltre alle guerre, sono le persecuzioni etniche, religiose, razziali, politiche e culturali, le carestie, i disastri ambientali e le epidemie. Ma perché proprio in Europa? Il nostro continente offre salari più alti, maggiore possibilità di lavoro, una migliore qualità di vita e più opportunità di studio. Tuttavia, mentre l’Europa è un terreno vario e accogliente, gli Europei lo sono meno. I pregiudizi e gli stereotipi sugli stranieri, che cercano di “proteggere” la cultura europea, sfociano spesso in episodi di xenofobia. Dimentichiamo sempre che la “nostra” cultura non è altro che un insieme di tradizioni e costumi che si sono sovrapposti nel tempo, provenienti da diverse zone non solo d’Europa, ma del mondo intero. Immaginiamo, ad esempio, come sarebbe la nostra amata pizza senza il pomodoro americano.
Recentemente, in Italia, si sono verificati atti di discriminazione sia verso lo straniero, sia verso il compaesano. Lo scorso 20 Gennaio, durante la partita Udinese-Milan, alcuni tifosi hanno insultato il portiere rossonero Mike Maignan facendo il verso della scimmia e cantando cori razzisti contro di lui. Così esce dal campo, seguito dagli altri giocatori, e l’arbitro Maresca sospende la partita per circa sei minuti.
Invece, durante la settimana del Festival di Sanremo, l’odio è ricaduto sul cantante 23enne Geolier e sulla sua musica. Come riporta Repubblica, il comportamento scorretto della platea si è rivelato un caso politico, oltre che artistico. Esso ha espresso in diretta nazionale l’odio campanilista che invade i social, veicolato da frasi stereotipate come “Televoto controllato dalla camorra”, “napolecani”, “non canti in italiano, che ci fai qui?” “Non ti senti a disagio per aver rubato la vittoria ad altri artisti più meritevoli?”.
Siamo di fronte all’epidemia del pensiero unico: l’omologazione, l’assenza di differenziazione di concezioni e idee politiche, economiche e sociali. Il fattore più grave è che si parla di una diffusione non violenta, ma che rispecchia esattamente le strategie dei totalitarismi.
Come disse Rosa Luxemburg -filosofa, economista, politica e rivoluzionaria tedesca con origini ebree e polacche- “il primo atto di rivoluzione è chiamare le cose con il proprio nome”.
Questo potere è reso impossibile dalla “neolingua”, che mira a imprigionare il nostro pensiero in schemi prefissati basati sul politicamente corretto. Esso non è altro che un’ulteriore evidenziazione di etichette e diversificazioni, travestito con il motto “siamo tutti uguali”. La verità è proprio che non siamo tutti uguali ed è questa la meraviglia dell’essere umano. Due culture differenti non potranno mai sostituirsi l’una con l’altra, ma convivere rimanendo tali. L’antidoto per superare le nostre barriere psicologiche è sicuramente l’informazione, il pensiero critico e una buona dose di curiosità per trovare risposte adeguate, ma soprattutto per formulare domande intelligenti.
Rebecca Guzzetti