Ultimamente la sera mi capita di non riuscire a chiudere gli occhi prima di una certa ora.
Non so lo so eh, ma credo sia il tormento per aver tralasciato qualcosa.
Sono consapevole di non aver detto ancora tutto, ma so anche che potevo farlo e di questo devo ammettere di portarne un grosso peso. Infatti ho proprio lì, al centro della testa, quello che ti dovevo dire precisamente, per filo e per segno, ma non ci sono riuscita. Volevo dirti che quella volta, quando ti ho visto arrivare con quell’aria stanca e carica di fatica, mi si è spezzato il cuore, e volevo dirti che lo stesso è successo quando hai preso le tue cose e sei andato via, senza dire nulla di particolarmente rilevante. Volevo dirti che io non avevo le forze per rincorrerti e che mi volevo scusare per non averlo fatto abbastanza, per non averci creduto, per aver perso le speranze; sarà stato per orgoglio o per qualsiasi altra cosa, ma il fatto è che non comprendo come sei potuto scappare via così in fretta.
Ti prego però di non fare della confusione una mia colpa: abituata alla tua presenza quotidiana nella mia vita, farò sempre fatica a concepirne una senza. Contemporaneamente alla mancanza della tua persona, so che assente sarà anche la tua inevitabile comprensione del mio scomodo modo di fare, che in realtà non necessita di troppe parole.
Non biasimo i nostri cambiamenti, il conseguente distacco emotivo delle nostre persone, l’abbandono della cura reciproca che, invece, indubbia viveva fino a poco tempo fa nei nostri cuori; però ero così convinta del fare simbiotico delle nostre menti…
Invece tutto si è volto a precipitare nel vuoto più totale, finché gli abbracci sono diventati strette di mano, i sorrisi si sono trasformati in minimi sguardi sfuggenti e le conversazioni in parole leggere e poco articolate.
Infatti, ho proprio queste parole scritte con qualche scarabocchio, su alcuni fogli sparsi per la testa.
Vorrei farteli leggere, ma sono certa che non capiresti la mia scrittura.
E anche se la capissi sono ancor più certa che ne leggeresti solo pochi di quei fogli, anzi, quasi nessuno, anzi, nessuno. Magari ti spaventeresti per la loro lunghezza e non leggeresti neanche la prima parola, neanche il titolo; o forse quello sì, ma senz’altro poi butteresti il foglio d’istinto, perché avresti paura di sentirti dire quello che ho provato.
Ma non c’ho scritto quello che io ho provato per te eh, non farti strane idee per carità. C’ho scritto quello che ho provato nel mio cuore e le sensazioni che sì, tu mi hai lasciato lì dentro.
Ti dico che ho provato a scriverci anche cose belline, ma non posso mentire alla mia ragione: lei sa bene, forse anche più del cuore, come sono stata.
Se poi ti capita di cercare bene tra quei fogli potresti scovare gli scarabocchi più recenti. Può darsi che quelli vorresti anche leggerli, perché sono brevi, così semplici, sottili, leggeri. Sono recenti sebbene contengano i dialoghi della testa con il mio cuore sin da quando ti ho incontrato quella sera. Li ho trascritti da poco perché prima erano tutti annebbiati e oscurati dalla tua ombra e dal pensiero che io ora ho di lei.
Solo adesso che non ci sei più sono riuscita a catturarli.
E quindi io spero che un giorno tu li possa leggere i miei fogli: tutti, quelli di tempo fa e quelli di oggi. Spero che avrai il coraggio di affrontarli, di affrontarmi, ma soprattutto di affrontare te stesso. Ti prego di fare in fretta perché aspetto impazientemente la tua risposta.
So che con il tempo mancherai sempre più all’appello dei pensieri, ma sono sicura che mai mancherai a quello dei ricordi.
Irene Bettin, 3Be