Poco più di un mese fa, il 28 settembre 2024, è stata aperta da Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, la cerimonia dell’ottantunesimo anniversario delle Quattro Giornate.

81 anni prima, infatti, nel 1943, il popolo Napoletano si rivoltò contro il regime nazista che, dall’armistizio dell’Otto settembre, ha avuto il controllo indiscusso sulla città, ormai devastata da anni di guerra, di bombardamenti, che tra il 1942 e 1943 si erano solo fatti più seri e pesanti, arrivando a causare 25.000 morti e dalla repressione di un regime che si stava avviando verso la sua fine.

Dopo l’Otto di settembre, le forze tedesche, con l’Operazione Achse, occuparono la Penisola, instaurando la Repubblica Sociale al nord, un regime fantoccio, e occupando militarmente il sud, dove si svolsero accesi combattimenti tra le forze naziste e le forze alleate.

Durante questa operazione, la situazione in Campania era molto instabile, poiché erano presenti circa 20.000 soldati tedeschi e solo 5.000 italiani. Per questo motivo molti soldati si diedero alla macchia e altrettanti generali disertarono o si diressero in abiti borghesi verso le forze alleate, tra cui il generale Ettore Deltetto a cui era affidata la difesa dell’area metropolitana di Napoli, lasciando indifesa la città che venne rapidamente occupata dagli invasori che applicarono la legge marziale, autorizzando l’utilizzo della forza contro gli inadempienti.

Alcuni dei pochi atti di resistenza militare si ebbero alla Caserma “Zanzur” (ora Palazzo della Dogana Vecchia) da parte di alcuni soldati della Guardia di Finanza, alla caserma “Pastrengo” dei Carabinieri e al Ventunesimo Centro di Avvistamento, una batteria di contraerea situata sul Castel dell’Ovo.

Il popolo napoletano non accettò a braccia aperte l’invasore: sin da subito si ebbero varie rivolte, senza una organizzazione centrale, contro la dominazione tedesca, con ispirazione alle celebri manifestazioni studentesche del primo settembre a Piazza del Plebiscito e nel Liceo Classico vomerese “Sannazzaro”.

Il nove settembre, nel pomeriggio, i tedeschi provarono a sequestrare dei fucili da alcuni militari a Via Foria, ma questi riuscirono a nascondersi e poi assaltare la pattuglia che era stata inviata a catturarli, prendendo in ostaggio venti militi tedeschi, ma furono poi arrestati dal Comando Militare Italiano.

Il dieci di settembre avvennero le prime azioni violente tra italiani e tedeschi, poiché alcuni civili e militari riuscirono a bloccare una colonna di veicoli diretti verso i Giardini del Molosiglio, uccidendo 6 soldati occupanti, ma quest’ultimi si vendicarono incendiando la Biblioteca Nazionale e sparando alla folla intervenuta.

Il giorno dopo, invece, alcuni soldati invasori in Riviera di Chiaia aprirono il fuoco contro alcuni poliziotti, i quali riuscirono però a catturare la ronda tedesca. Tuttavia, nel frattempo un reparto speciale dell’esercito tedesco aveva occupato il porto, facendo affondare molte navi militari al suo interno.

Il dodici di settembre, viste le perdite subite dalle forze tedesche, il comando supremo tedesco affidò la città al colonnello Scholl, che dichiarò lo stato d’assedio e fece deportare 4.000 giovani per il “lavoro obbligatorio” in Germania.

Quest’ultimo affermò anche che le forze tedesche avrebbero aperto il fuoco contro ogni inadempiente e che per ogni morte tedesca sarebbero stati giustiziati cento napoletani.

La rappresaglia tedesca continuò, facendo giustiziare pubblicamente sette soldati italiani rivoltosi in piazza Bovio e sul Corso Umberto I e facendo fucilare quattordici carabinieri a Teverola di fronte a cinquecento cittadini per aver difeso il Palazzo dei Telefoni dai guastatori tedeschi.

Ormai il popolo napoletano, infuriato per le esecuzioni indiscriminate, i saccheggi, la distruzione e il rastrellamento della popolazione per la deportazione in Germania capì che l’unica via di salvezza era la rivoluzione. Per questo motivo iniziarono i preparativi per una violenta manifestazione ispirata alla Rivolta del Ghetto di Varsavia, saccheggiando quindi numerosi depositi tedeschi.

Le ultime due azioni che provocarono la rivolta furono l’ordine dell’evacuazione della fascia costiera della città, in cui abitavano 240.000 cittadini, con lo scopo di distruggere il porto, e la chiamata al lavoro forzato di 30.000 giovani napoletani, anche se solo 150 furono catturati.

A questo punto iniziò una rivolta, supportata dalla maggior parte dei cittadini locali e da numerosi soldati che erano scampati alle fucilazioni dei tedeschi.

Tra il 26 e il 27 settembre, una vasta folla, principalmente femminile, riuscì a liberare i concittadini catturati e radunati per le deportazioni dai tedeschi, mentre un commando di duecento insorti, sotto il comando di Enzo Stimolo, assaltò l’armeria di Castel Sant’Elmo, armando così altri partigiani che salvarono dalla fucilazione dei concittadini nel Bosco di Capodimonte ed evitarono la distruzione del Ponte della Sanità, mantenendo intatte le vie di comunicazione nella città.

Questi atti di resistenza non avevano una coordinazione centrale, bensì si svolgevano di quartiere in quartiere per decisione di un “comandante di rione”, sapendo dai passanti cosa stesse succedendo in altre zone della città. Per questo si ovviò con la creazione di un comitato centrale il 29 settembre, ovvero il “Comitato di Liberazione Nazionale di Napoli”, il primo organo antifascista d’Italia, formato sia da militari che da civili.

Gli ultimi due giorni furono i più sanguinosi. Questo perché i tedeschi, ormai in ritirata, cannoneggiarono la città e appiccarono vari incendi, tra cui quello dell’Archivio di Stato, dove erano state nascoste numerose opere d’arte.

Infine, il trenta di settembre, il colonnello Scholl scese per la prima volta nella guerra a patti contro gli insorti, capeggiati da Enzo Stimolo, promettendo di rilasciare i napoletani catturati in cambio di un passaggio sicuro fuori dalla città.

Il primo di ottobre, i tedeschi abbandonarono la città con numerose perdite. Proprio grazie alla sconfitta di molte divisioni tedesche, Napoli fu salvata poiché era arrivato un ordine diretto da Berlino che imponeva a Scholl di ridurre Napoli a “fango e cenere” e, dopo la ritirata dei tedeschi, giunsero in città gli angloamericani, precedentemente accampati a Salerno.

Per ordine del Comando Militare Italiano, la città di Napoli e vari combattenti furono insigniti della Medaglia d’Oro al Valore Militare, la più alta onorificenza militare d’Italia. In seguito, furono eretti numerosi monumenti in onore dei caduti per la liberazione della città, e da allora si svolgono cerimonie commemorative di questo evento, durante le quali si tengono incontri con veterani di guerra o con storici per raccogliere testimonianze sulla rivolta.

Giacomo Paragliola, 2AC.

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