In un batter d’occhio, dopo tre mesi di giorni leggeri e di spensieratezza, ci siamo ritrovati a settembre; poi, dopo il classico rientro a scuola e dopo esserci adattati alla solita routine, ad ottobre; e dopo i primi giri di interrogazioni e verifiche, siamo arrivati anche a novembre.
La “saudade” è un sentimento affine alla nostalgia, che letteralmente dal portoghese si traduce con “desiderio”. Questa è una sorta di malinconia verso qualcosa (o qualcuno) che si è perso, ma che rivive nel ricordo; è un nostalgico rimpianto, ritenuto quasi una caratteristica spirituale in Portogallo, che in particolare è impressa nelle opere letterarie e musicali del suo popolo. Con il passare del tempo si sente così distante l’amore imprevisto che abbiamo provato, la calma nel dire “c’è ancora domani per stare insieme”, le serate illuminate dai tramonti sul mare. È lontana anche la consapevolezza di stare bene, la speranza della crescita di un legame stabile, le carezze del vento al sapore di sale, i concerti attesi per cantare quella sola frase. A parer mio lasciamo questa sensazione troppo al caso ultimamente, come se fosse normale provare una quantità tale di nostalgia al pensiero di piccoli e lontani momenti. Abbiamo paura di dimenticarli, insieme a quei posti, a quelle persone, a quell’atmosfera… Così troviamo soluzione nel viverli continuamente nella nostra testa, lasciando che i pensieri si facciano cullare dai nostri ricordi.
Sappiamo bene che la fine dell’estate lascia sempre molta amarezza e anche la sensazione di non aver fatto abbastanza; lascia sempre tranquillità, come una “strana felicità” verso quello che ci attende. È stimolante pensare di avere un altro anno davanti, dove abbiamo tutto il tempo per essere chi vogliamo, per non bruciare le tappe, per non dimenticare nulla, per lasciarci andare e rimanere presenti. Ci stiamo buttando in un’altra corsa verso la festività più vicina, il ponte più lungo per stare a casa, o un sabato sera meritato dopo una settimana straziante. Profondi saranno i respiri dopo la consegna del compito andato bene, ma anche quelli dopo essersi rivisti nel corridoio dopo tre mesi con il “non disturbare” attivo sul cellulare. Sarà nelle nostre mani mantenere vivo nelle nostre persone il pieno di felicità che abbiamo fatto, la memoria dell’abbronzatura del sole accecante e quella degli occhi lucidi pieni d’amore.
Il fatto è che sarà impegnativo da morire, perché d’altronde siamo pur sempre adolescenti, scaraventati in una schietta tempesta di aspettative, perfezionismo, battaglie, competizioni… Alcuni di noi avranno per le mani tante scelte da fare, molte domande a cui rispondere e altrettanti dubbi da chiarire. Alcuni dovranno convivere con questioni in sospeso da risolvere, con loro stessi o con altri, chiacchierate necessarie da affrontare e piccoli limiti da superare. Altri andranno avanti per inerzia, perché non hanno altro in mano, perché sono costretti, o perché non vedono l’ora di mettere un punto all’ultima parola di questo capitolo. A molti mancherà la terra sotto i piedi e non sapranno cosa fare, dove andare, cosa dire, che pensare. Ad altri sarà la paura a fare da compagnia, quella verso i pensieri più grandi di loro, delle cose del mondo, che sono talmente tanto profonde che nessuno riuscirebbe mai a slegarle e rifilarle nell’ordine primordiale.
Mi auguro che in mezzo a tutta questa confusione riusciremo a trovare il nostro equilibrio, la nostra via d’uscita, il nostro compromesso per cui lottare e andare avanti; potranno essere i due compagni di classe che ti aspettano ogni mattina fuori da scuola, oppure il professore che ti guarda negli occhi mentre spiega la materia più accattivante di tutte, la famiglia con cui riesci a stare solo nei weekend, o lo sport con cui condividi i pomeriggi dopo le mattinate pesanti. Spero che riusciremo a captare ogni possibilità di stare bene, che se cerchiamo con cura possono essere dietro l’angolo.
Irene Bettin, 4Be