La poesia giapponese si differenzia molto sia dalla poesia europea che dalla poesia classica: infatti non fa ricorso a rime di alcun genere, né a una regolare alternanza di accenti, bensì, semplicemente, poggia sul variare del numero delle sillabe nei singoli versi, che possono essere di 5 o 7.
Il tipo di componimento poetico giapponese più antico è il tanka (短歌), nato nel V sec. d.C. e formato da 5 versi. Grazie alla popolarità di questa forma anche tra le classi più abbienti, nacque il renga (連歌), dialogo tra più persone attraverso l’utilizzo del metro tanka; tuttavia all’inizio del XVI sec. prese una deriva comica, l’haikai no renga (俳諧の連歌). La prima strofa di questo particolare tipo di dialogo era detta hokku, che consisteva nei primi tre versi di un tanka, che hanno rispettivamente 5,7,5 sillabe. Così quella piccola parte, staccandosi e diventando autonoma, si sviluppò in ciò che ancora oggi si chiama haiku.
L’haiku tradizionale ha 2 tratti caratteristici, che noi -con le dovute distanze- potremmo paragonare alle nostre figure retoriche: il kigo (季語, “parola della stagione” ), che consiste in un richiamo alla stagione a cui si fa riferimento e può essere un animale, una ricorrenza o un evento atmosferico (come la neve o un acquazzone estivo); poi il kireji (切れ字, “parola che taglia”), espresso attraverso una parola oppure un segno di punteggiatura, come il trattino o la virgola, e questo serve ad evidenziare un salto mentale e di significato.
Avendo spiegato brevemente cosa sia l’haiku, ora si può parlare di Matsuo Bashō ( 松尾 芭蕉), il più famoso e forse il più prolifico poeta di haiku, che aiutò a elevare questo genere letterario e a spogliarlo dalla sua tendenza comica. Nacque nel 1644, vicino a Ueno e morì a Osaka nel novembre del 1694. Egli in verità nacque Munefusa (宗房) di cognome, ma successivamente adottò diversi nome d’arte e l’ultimo di questi fu Bashō (芭蕉), che significa banano, tipo di pianta che fu piantata da alcuni suoi discepoli davanti alla casa costruita da loro per il maestro.
Importante fu per lui il tempo trascorso a Edo, l’odierna Tokyo, che avrebbe adottato questo nome solo nel 1868, con la Restaurazione Meiji.
Qui migliorò le proprie capacità poetiche e iniziò a insegnare con un discreto seguito.
Passato questo breve periodo, decise di partire, di lasciare la città, poiché non riusciva ad essere soddisfatto e vivere serenamente (in quel periodo inoltre era morta sua madre e la sua casa era andata a fuoco).
Così viaggiò in lungo e in largo per il Giappone, passando per Kyoto, Honshu e molte altre località, e la natura incontrata nel suo errare lo ispirò moltissimo per la stesura dei suoi componimenti. Rimase in viaggio per la maggior parte della sua vita.
Oltre agli haiku, Bashō fece nascere un nuovo genere detto “haibun”(俳文), che è un prosimetro, quindi un tipo di opera letteraria che contiene sia versi che prosa; con l’haibun egli scrisse i propri diari di viaggio, tra cui possiamo ricordare “Piccolo manoscritto nella bisaccia” (笈の小文 “Oi no kobumi”) del 1687 e “Lo stretto sentiero verso il profondo Nord” (奥の細道 “Oku no Hosomichi”), del 1689.
Nel suo ultimo viaggio, intrapreso dopo un breve periodo passato a Edo, si ammalò e presto morì serenamente, circondato dai suoi discepoli, che per tutta la sua vita lo avevano sostenuto e aiutato e che, forse, furono per lui una vera e propria famiglia.
Milo Legnani 4^AC