– La nascita della stella –
La bellezza, sia nel suo significato oggettivo che soggettivo, è qualcosa che ciascun essere
umano ha ben impresso nella mente.
Ma se si chiedesse ad una persona di qualsiasi età di definire cosa sia la bellezza, è
probabile che si pietrifichino, incapaci di rispondere. La soluzione più immediata sarebbe “ciò che è bello”, ma si potrebbe ribattere chiedendo di spiegare cosa significhi, cosa sia bello. Pensandoci un attimo, si potrebbe delucidare come “qualsiasi cosa che piace, che attrae” ma non è del tutto esatto. I poeti risponderebbero che la bellezza è “qualcosa che stimola l’animo e i sensi, che reagisce al cuore e che suscita emozioni”, una risposta esatta, ma fallimentare nel trasmettere l’interezza delle sensazioni.
La vera bellezza è essenziale, un concetto innato di tutti gli umani, circondati di bellezza
ovunque, ma incapaci di coglierla razionalmente. La bellezza è vita. E’ ciò che ci impedisce di morire, ciò che entra dentro di noi e reagisce con ogni singolo organo e centimetro di pelle. Per gli umani sarebbe impossibile vivere se non esistesse una bellezza che li spingesse a raggiungerla, a possederla e farla loro.
Lo scopo dell’esistenza umana è trovare e ottenere una bellezza rara, unica, che colmi il
proprio vuoto fino alla morte. Sono in pochi a riuscire a trovarla.
E, ovviamente, esistono persone con la bellezza innata. Si parla di una bellezza capace di
pietrificare, di diventare il Sole attorno a cui tutto ruota, il Sole che si è destinati ad adorare per l’eternità.
Un giorno di maggio, un astro cadde sulla Terra e iniziò a vivere. Quella piccola stella,
appena nata, illuminò il viso e la vita di sua madre, e poi di suo padre. Freya era il nome della stella, la stella più bella che fosse mai brillata. I suoi capelli erano lucenti, i suoi occhi dipinti di cielo.
La piccola stella divenne immediatamente il Sole dei suoi genitori, dei quali era l’unica
genita, e della sua intera famiglia. Sua madre aveva perso due bambini prima di lei. Questo inimmaginabile dolore la fece quasi desistere dal tentare di mettere alla luce un figlio, quando gli angeli risposero alle sue preghiere disperate, donandole una piccola stella che sarebbe cresciuta dentro di lei. Come un miracolo, Freya nacque, dopo un parto difficile ed estenuante. Ma nacque, ciò era tutto quello di cui i suoi genitori avevano bisogno di sapere.
Sin dai primi anni della sua esistenza, la piccola manifestò una personalità radiosa, abile di
far brillare gli animi delle persone attorno a lei anche quando erano coperti di gelo. I suoi capelli crebbero, apparendo come raggi dorati di sole che le raggiungevano la schiena, le sue iridi celesti, grandi e rotonde, rendevano quel viso delicato bello al pari di una creatura delle nuvole. Sembrava ritratta dai più capaci artisti romantici, e nessuno si dimenticò mai di tralasciare questo dettaglio; Freya crebbe con la coscienza della sua bellezza, mai se ne sarebbe dimenticata.
Alle elementari, si scoprì che non soltanto la sua personalità, i suoi occhi e le sue ciocche,
fossero brillanti, ma anche la sua mente: amava studiare, conoscere e stimolare la sua curiosità infantile. Amava particolarmente le materie creative, come l’arte, la storia e la musica. Le piaceva disegnare stelle e fiori, che poi mostrava alle sue maestre e ai suoi genitori, che le sorridevano, accarezzandole i capelli e ripetendole quanto fosse luminosa e spettacolare. La divertiva cantare, intonare melodie inventate o ascoltate in radio, ed entrò nel coro per poter sfoggiare questa sua passione.
Ma, più di tutte, amava la storia. O, meglio, la odiò fino alla quarta elementare, quando
aveva otto anni. Durante una lezione in particolare, mentre la bambina, annoiata, disegnava dei conigli sul suo libro di storia, la maestra introdusse l’argomento dei Greci. Freya prese appunti, come al solito, ma nulla di fuori dall’ordinario sarebbe successo, così credeva. Divagando sulla religione, la maestra parlò della dea della bellezza e dell’amore: Afrodite. Gli occhi della bambina si sollevarono dalle scritte del libro, per fissare il volto della maestra. La sua mano si alzò: <<Perché i Greci veneravano l’amore e la bellezza? Cosa c’è di speciale?>>, chiese quando ebbe il permesso di parlare.
La sua maestra sorrise. <<Non furono i primi a venerare la bellezza, gli uomini della
Preistoria già lo facevano>> le spiegò. Subito dopo indicò una pagina del libro, sulla quale era stampata la foto di una statuetta. Sembrava una donna in sovrappeso, con il petto e i fianchi sporgenti. <<Lei era l’Afrodite degli uomini antichi. La bellezza è sempre stato un elemento di venerazione da parte degli uomini, sin dall’origine degli umani.>>
Freya non riteneva la statuetta bella e degna di venerazione. Le ricordava la moglie del macellaio da cui sua madre comprava l’arrosto, la quale la intimoriva un po’, e un po’ la disgustava: era grassa come un maiale e il suo viso era pieno di rughe. Ma ascoltò la maestra, che sicuramente sapeva più di lei.
Questa, rimandò i bambini ad un’altra pagina riguardante i greci, in particolare la
religione. Vi era il dipinto di una bellissima donna, la quale era nuda, per cui Freya cancellò con la penna le sue zone private, imbarazzata. Ma si concentrò, invece, sui suoi lunghi capelli fluttuanti: le assomigliava davvero molto.
<<Questa è Afrodite, che i Romani poi chiameranno Venere, colei che incarna la
bellezza>>, spiegò la maestra. <<Era una dea potente, sapete, al pari di Zeus, il re degli dei.>> Freya si chiese se la bellezza fosse davvero così potente, al pari dei fulmini; non ne
era tanto sicura, ma secondo i Greci era così, a quanto pare.
Quella lezione di storia sarebbe diventato presto il suo Vangelo, ma ancora di più
ciò che sua madre le disse quel medesimo giorno.
<<Abbiamo studiato i Greci oggi>> esordì la piccola mentre faceva merenda con sua
madre, che sorseggiava un caffè. <<Lo sapevi che esiste una dea della bellezza?>>
La madre la guardò con un ghigno. <<Certo che lo so, si chiama Afrodite, giusto? Ma lo
sai che ti assomiglia?>>
La bambina sorrise sorniona. Era il complimento che aspettava da tutto il giorno. <<E
lo sai che è potente quanto Zeus, il dio dei fulmini? Quanto è forte!>>
<<Non mi sorprende, la bellezza è davvero potente.>>
<<E’ così potente?>>
Sua mamma la fissò negli occhi, con sguardo complice. <<Freya, ti svelo un segreto, ma
non dirlo a nessuno, va bene?>>. Il cuore della piccola iniziò a battere, entusiasta. Scosse velocemente il capo su e giù, dando segno di assenso. <<La bellezza è il dono più grande che una donna possa avere: è il suo potere. E tu hai questo potere, quindi sfruttalo al meglio: nessuno può resistere ad una donna bella e che sa di esserlo.>>
Freya fissò sua madre in silenzio per qualche secondo, scrutandole il viso. Sua mamma
era stata benedetta con le sue stesse onde dorate, le medesime labbra carnose rosso ciliegia, con guance rosate e morbide come quelle della sua piccola stella, lei. Le sue iridi, però, erano verde smeraldo, come il gambo e le foglie dei fiori che Freya tanto amava disegnare; forse era proprio per questo che le piacevano i fiori, perché assomigliavano alla sua mamma.
Fu dopo quel discorso che la piccola realizzò quanto sua mamma fosse bella, quanto fosse
fortunata ad avere una mamma così spettacolare: forse era per questo che papà la amava tanto, si disse. Ma, ancora di più, realizzò per la prima volta quanto lei fosse fortunata, ad essere nata così bella, più bella di Afrodite, la bellezza incarnata.
– L’evoluzione della stella –
Il piccolo astro dorato fiorì sempre di più man mano che i giorni, i mesi, gli anni fluivano.
Freya, da piccola stella, crebbe nel pianeta Venere, diventando la più luminosa tra le giovani della sua città. Del mondo, avrebbe detto lei.
Il suo corpo non fu l’unica cosa a germogliare: crebbe la sua mente, e in particolare il suo
ego, divenuto, all’alba dei suoi sedici anni, una delle prime cose che uno sconosciuto notasse in lei. La prima cosa erano i suoi occhi celestini, dipinti di Via Lattea, di ogni sua sfumatura e stella, e subito dopo le sue labbra, che amava colorare di vermiglio brillante. I suoi capelli non erano cambiati, solo cresciuti, ma l’aureo colore rimase solare come era stato sin dalla sua nascita. La sua figura puerile si sviluppò in curve sinuose, degne di un ritratto rinascimentale.
Ma, come detto, il suo ego prosperò in lei: la sua arroganza divenne
il tratto cardinale della sua personalità . La bambina che credeva di essere la più bella di tutte le sue coetanee, che si cullava all’udire complimenti ed elogi, al pari della dea della bellezza, divenne la ragazza il cui scopo di vita era dimostrare di essere stata benedetta con ineguagliabile ed eterea bellezza. Era tutto ciò di cui necessitava per esistere e sentirsi viva.
La giovane fu sempre precoce per quanto riguardava la sfera affettiva e romantica: ebbe il
suo primo fidanzato a nove anni, dopo che una sua amica le confidò che un loro compagno di classe aveva una cotta per lei. Freya si confrontò con lui ed accettò di mettersi insieme. Ovviamente, i sentimenti non erano corrisposti, lei voleva solo pavoneggiarsi dell’affetto del suo moroso, senza mai essere costretta a ricambiarlo. Ogni volta che lui le chiedeva un bacio, lei si rifiutava con ribrezzo, con il solo risultato di far battere ancora di più il cuore del ragazzino. Un giorno, però, Freya si stufò di quella creatura per cui provava solo avversione, e lo lasciò senza troppe spiegazioni. La loro relazione era durata all’incirca una settimana.
Alle medie, Freya si ritrovò in una classe prevalentemente maschile, con esponenti
di quel sesso che si avvicinavano di più ai primati che agli uomini. Naturalmente, era lei l’oggetto dei loro desideri, ma non si concesse mai a loro, non dopo l’esperienza fatta alle elementari. Pazientava l’arrivo di un Adone degno della sua infatuazione; o, almeno, delle sue attenzioni. Ciononostante, viveva delle adulazioni e fantasie dei suoi compagni maschi, che erano il suo nutrimento; e fu alle medie che, per la prima volta, si ritrovò ad essere oggetto di occhiate di sdegno delle sue compagne. Non che le importasse, comunque.
Fu alle superiori che trovò l’Olimpo. Brulicava di ninfe e semidei, che catturarono il suo sguardo. Non erano certo suoi pari, ma erano esseri dei quali avrebbe amato le affezioni.
Il primo a conquistare il tocco della sua pelle fu un giovane, non Adone, sfortunatamente,
ma che aveva occhi meravigliosi, a parere di Freya, del colore del miele che amava tanto. Fu il primo a cui concesse di svelare il suo corpo e di sfiorarlo, di farle provare piacere. Purtroppo, però, non riuscì a soddisfare a pieno la ragazza, per cui i suoi occhi mielati furono il ricordo di una sola notte.
Freya, tuttavia, non sarebbe mai riuscita a dimenticare il suo sguardo mentre la ammirava,
quel desiderio visibile nelle sue iridi, che cantavano di quell’illusione, effimera, di possederla. E non si dimenticò quell’emozione, di quanto le tremasse il cuore, quando si sentì una vera dea, alla quale ogni uomo e donna onerava venerazione. Sì, era tutto ciò di cui aveva bisogno per vivere.
Divenne immediatamente dipendente da quella voluttà morbosa, così afrodisiaca, che le
provocava essere rimirata senza veli, in tutta la sua divinità, dal sapore di Paradiso che gustava ogni volta che era unita così intimamente ad un altro umano, dal sentirsi desiderata e sognata. Non esisteva e non sarebbe mai esistito qualcosa di più delizioso del tremore che provava quando si sentiva anelata, bramata.
A nessuno, però, concesse mai di baciarla. Lambire le labbra della bellezza significava
donare piacere a qualcuno che non lo meritava, per cui proibì di sfiorarle le labbra a chiunque osasse provarci o chiederlo. Erano solo per amore, quello che non aveva ancora trovato.
Agli altri, donava solo l’accesso all’Olimpo; ogni essere non divino poteva soltanto
sognarla, renderla oggetto di fantasie e desideri. Non le importava se questo umano fosse maschio o femmina, ciò di cui aveva bisogno era solo del suo corpo e la sua venerazione. Che le dicesse quanto fosse astrale, eterea, la creatura più bella che fosse mai caduta dai cieli e nata, vissuta e che sarebbe in futuro morta sulla Terra e nell’Universo.
Aveva bisogno di non sentirsi vacua.
– La morte della stella –
La prima ruga sul viso di Freya comparve quando aveva ventisei anni.
Era un giorno qualunque. Si era appena svegliata, ed era andata in bagno per prepararsi alla
giornata. Sin da piccola, Freya aveva deciso di diventare una modella, e da adolescente questo desiderio divenne più ardente, quando scoprì cosa la animava. Ovviamente non fu difficile, e presto divenne celebre in quell’ambiente, per merito del suo aspetto così celestiale.
In quel mondo, conobbe amore: Alan era il suo nome. Il fuoco tra di loro divampò nel
momento in cui i loro occhi si incontrarono, quando quelli di Freya si fissarono in quelli silvestri di lui, di amore. E presto divennero una cosa sola. Lui la venerava come nessuno prima aveva fatto, lei annegava nelle sue preghiere; fu il primo e l’unico a cui concesse di baciarla, era qualcosa che imparò ad amare alla follia. Ed era l’unico degno di essere suo: quel suo viso fanciullesco, ma virile come i marmi greci, quel suo corpo scolpito da Michelangelo, quella sua arroganza e freddezza che ardevano nel cuore di Freya, così simili a lei, erano così divini da meritare di essere adorati da nessuno oltre che la dea della bellezza incarnata.
Si era appena alzata dal letto in cui Alan era assopito, quando in bagno vide quella piccola
ruga sulla sua fronte. Inizialmente non ci fece caso, ma fu incapace di distoglierne lo sguardo appena realizzò che non sarebbe mai più stata una ragazzina.
Ci mise il fondotinta, sperando sparisse; ma rimase lì. Passò della crema idratante, qualsiasi
cosa che pensava potesse cancellarla; ma la ruga non scomparve mai. In preda alla disperazione, scoppiò a piangere, angosciata. Non le era mai successo di sentirsi brutta, mortale. Nella sua ingenua ignoranza, in quella fantasia con il tempo diventata una convinzione, sarebbe rimasta giovane e bellissima per l’eternità. Ma quella fu la prima volta nella sua vita che, con orrore, realizzò di non essere una dea immortale. Non sarebbe rimasta giovane e bella per sempre.
Con fatica, si asciugò le lacrime che sgorgavano come cascate, e si specchiò ancora una
volta. La ruga era ancora lì. Trattenne il pianto, e si mise una mano sulla fronte: non era cambiata, rimaneva bellissima. Sorrise, e si disse che la bellezza che era sempre vissuta in lei non era mai morta; ancora. Doveva solo convincersi che non avrebbe mai smesso di essere giovane.
Pochi giorni dopo, Freya si sottopose al suo primo intervento chirurgico. I dottori tentarono
di dissuaderla dal farlo, ma nulla le avrebbe fatto cambiare idea; non avrebbe mai smesso di essere bella. E così, il giorno dopo, la ruga scomparve. Era la stessa di sempre. Ma non per sempre.
Una nuova ruga apparve dopo solo un mese. Questa volta, però, non fu così fortunata.
<<Cos’hai in fronte?>>, le chiese Alan mentre erano a letto.
<<Cosa?>> sentiva il terrore espandersi nel suo petto.
<<Hai una ruga>>, rispose lui, con un tono sottilmente sprezzante, che non passò
inosservato alle orecchie di Freya. <<Stai invecchiando.>>
<<Come?>> sentì qualcosa in lei rompersi. <<Ma dai, sarà la luce, sono ancora una
ragazzina.>> rise, per evitare di scoppiare a piangere.
Lui rise piano, senza dire nulla, ma non riuscì a capire se stesse ridendo con lei o di lei.
Le rughe, però, non divennero un problema. Presto anche sulla fronte di Alan comparve
una ruga. Freya gli disse la medesima battuta che lui le aveva detto anni prima, a cui lui rise divertito: invecchiare non fu mai un problema per Alan, come lo era per Freya.
Compì trent’anni. Non era più una ragazzina, il suo fascino mutò e divenne quello di
una donna, che aveva vissuto e che aveva ancora da vivere. Era indubbiamente al massimo della sua bellezza, ma nel suo cuore sentiva una ferita che non si sarebbe mai rimarginata, che avrebbe lasciato una cicatrice raccapricciante.
Quando era una ragazza, erano quotidiane le attenzioni indesiderate e le molestie verbali
di uomini il doppio o il triplo più grandi della sua età. Per quanto ciò la disgustasse, si compiaceva di quanto il suo aspetto attirasse il desiderio di uomini di qualsiasi età, e di quanto questi sentissero l’impulso di importunarla pur di dichiarare tale attrazione. Nel momento in cui divenne una donna, queste attenzioni si fecero sempre più rare, e da parte di uomini a lei sempre più coetanei; erano le ragazzine, pure e innocenti, senza il segno della vecchiaia, a ricevere la venerazione degli uomini maturi, non lei.
Fu questo che un giorno le causò una nuova crisi. Pianse per ore, finché la testa non sembrò
sull’orlo di scoppiarle, rimpianse quei momenti di fanciullezza in cui si sentiva eterna, immortale, giovane e bellissima. Si alzò tremante, specchiandosi: non riusciva a scorgere il viso di quella fanciulla, di quella bambina così brillante, solare, eterea. Non era più la dea della bellezza.
Fu a trent’anni che chiese nuovamente ausilio alla chirurgia estetica: non fu solo un
intervento, ma molteplici. Al fine di questi, riuscì a rivedere il familiare sorriso fanciullesco sul suo viso. Questo, però, non passò inosservato.
<<Che hai fatto al volto?>>, le domandò Alan quando la vide, con un sopracciglio alzato. Il
suo fascino negli anni era cambiato, ma non era mai diminuito.
<<Mi mancava il mio viso da ragazzina>>, rispose lei. <<ed ora è tornato.>>
Lui rimase in silenzio per qualche secondo. <<Chirurgia plastica?>>, chiese. Lei annuì, e
lui sorrise, tirandola verso di sé e stringendola. <<Mi piace. Sei bellissima.>> e la baciò.
Fu così per molti anni. Ogni qualvolta che Freya iniziava a sentirsi vecchia, brutta, non
amabile, ricorreva alla chirurgia plastica. Quando raggiunse i quarantacinque anni, non ricordava più a quanti interventi si fosse sottoposta; non importava dopotutto. Sembrava ancora una ragazzina.
Lei e Alan, nel frattempo, avevano avuto dei figli, un maschio e una femmina. Freya li
amava con tutto il cuore, ma non poteva fare a meno di vedere in sua figlia ciò che lei era stata, e che non sarebbe mai potuta essere nuovamente. Vedeva quella creatura così ingenua, che sorrideva a suo padre, e rivedeva il momento in cui lei e Alan si innamorarono. Avrebbe mai rivissuto quel momento, quando per lui non esisteva creatura più bella di quella che ora era una donna, priva di ogni fanciullesca bellezza?
Quando sua figlia era adolescente, le rughe sul viso di Freya si infittirono, e divennero
numerose. Le sue labbra, un tempo carnose e scarlatte, avevano perso quel colorito vivace e quella morbidezza incantevole. Si sottopose nuovamente ad un intervento, ma il suo viso non era più quello di una dea. Per quanto si sforzasse, i segni del tempo e della chirurgia erano visibilissimi, ed era innegabile che le attenzioni una volta rivoltele erano diventate ormai inesistenti. Ogni singola parte del suo corpo era fatta di plastica, come le Barbie con cui giocava da piccola; non era bella come una Barbie, però. Era vecchia, mortale, non una dea.
Il giorno peggiore della sua vità fu quando scoprì che Alan aveva un’amante. Li scoprì nel
letto, il loro letto, in cui avevano concepito i loro figli, in cui si erano venerati a vicenda per la prima volta. Ma la cosa più dolorosa, fu che la donna, la ragazza con cui amore aveva rotto tutto ciò che Freya aveva costruito con lui, era identica alla giovane di vent’anni che Alan aveva conosciuto. I lunghi raggi dorati, i grandi e profondi occhi dipinti di celeste, le labbra rosse come ciliegie, la pelle liscia e priva di rughe. L’aveva tradita con quello che Freya era stata, e che non sarebbe mai potuta essere.
Quella notte, Freya pianse, urlò, desiderò di morire. Uscì di notte, sperando di
incontrare qualcuno, di passarci una notte insieme, oppure di essere rapita, violentata, pur di sentire nuovamente di essere desiderata, ardita, venerata. Nessuno venne. Nessuno venne mai più.
La dea della bellezza smise di essere immortale, e morì quella notte senza stelle. Freya
lasciò quella che fu la sua famiglia, il suo amore, e tornò da sua madre. Le raccontò tutto, le disse quanto si odiasse, di quanto si sentisse un rifiuto, non più giovane e bellissima, ma solo un’anima dolorante, e di come volesse spegnersi per sempre. La madre la abbracciò, asciugandole le lacrime, baciandola e rassicurandola. Era l’unica che riusciva ad amare Freya, e non Afrodite; ciò che fu Afrodite.
– Ispirato da “Young and beautiful” di Lana del Rey.
Di Qual Vanessa 3CS