Era una spensierata e umida sera di estate, più precisamente quella tra il ventitre e il ventiquattro di Luglio.
Stavo camminando nella solita strada che mi avrebbe portato al parco della mia scuola,il luogo di ritrovo dei “Red lock”, il nome del mio gruppo di amici.
Quel giorno ero andato con la mia famiglia a Milano; arrivata l’ora di pranzo andammo a mangiare in un ristorante chiamato “La belva”.
Una volta seduti vidi immediatamente sul tavolo un lungo coltello luccicante dalla lama molto affilata. I miei occhi continuavano a guardare quell’oggetto, anche se provavo a dimenticarlo, e quando stavamo per andarcene, preso da un momento di follia, decisi di rubarlo.
Lo nascosi per tutto il giorno nel mio giubbotto avvolto in alcuni tovaglioli, per paura che qualcuno potesse vederlo.
Appena arrivato nel parco della scuola salutai i miei amici baciandoli sulla guancia e stringendogli la mano come segno di fratellanza.
Decidemmo di farci una canna, pessima idea… subito dopo arrivò la mia ragazza che decise di lasciarmi. Mentre parlavamo tenevo le mani in tasca e cercavo di apparire indifferente a quelle parole, ma ero terribilmente nervoso e, anche a causa della droga, mi dimenticai del coltello, finendo per tagliarmi, senza però darlo a vedere.
Dopo la delusione ottenuta io e i miei amici decidemmo di andare alle giostre in un paesino vicino al nostro: loro volevano andarci per rimorchiare qualche bella ragazza e pensavo avrebbe aiutato anche me per distrarmi.
Arrivati alle giostre mi fumai un’altra canna: mi sentivo leggero e libero da ogni pensiero.
Eravamo sugli autoscontri, la mia giostra preferita, quando dal nulla cominciai a sentire alcune urla provenienti dal centro del luna park. Capii subito che erano gli “outsiders”, un gruppo rivale al nostro. Li riconobbi subito: indossavano tute completamente blu con delle scritte sulla schiena in varie lingue tra cui francesi e inglesi.
Decisi di andare ad avvisare gli altri per riunire il gruppo e non farci trovare impreparati, d’altronde eravamo coscienti che da lì a poco sarebbe successo qualcosa di molto brutto.
Iniziarono ad istigarci a lottare contro di loro e iniziarono a prendendosela con il più piccolo dei nostri, perché era il bersaglio più facile e sapevano che in questo modo noi avremmo reagito.
Reno, il fondatore dei “Red lock”, scagliò un pugno dritto in faccia ad uno di loro ed egli indietreggiò con il sangue che gli colava dal naso. I suoi compagni vennero in suo soccorso e si avvicinarono a noi: quello fu l’iniziò della fine.
Vidi molti miei compagni scappare impauriti, come anche alcuni di loro. Nelle battaglie ci sono sempre i codardi, ma io non avrei mai abbandonato i miei amici.
Stavamo perdendo, la maggior parte di noi era ferito, iniziai ad avere paura quando vidi che mi stavano accerchiando.
Allora pensai disperatamente a come uscire da questa situazione, quando mi ricordai di quel coltello. Lo puntai contro di loro, che iniziarono a scappare impauriti.
Uno degli “outsiders”, però, era girato di spalle e non aveva notato il coltello. Stava continuando a prendere a calci un mio compagno gravemente ferito e dunque senza pensarci troppo presi la rincorsa e lo trafissi dritto nel petto.
Il mondo si fermò. Avevo ucciso un ragazzo!
Tornai velocemente in me percependo il pericolo nel rimanere lì e me la diedi a gambe, ma ben presto inciampai su una roccia e svenni: la causa della mia distrazione fu sicuramente la troppa ansia.
Mi risvegliai sudato nel letto, andai in bagno a sciacquarmi.
Tranquillizzato compresi che era stato tutto un brutto sogno e per questo, ancora con le luci spente, decisi di andare in bagno a lavarmi la faccia dal sudore. Sentivo un forte dolore alla testa, ma non ci feci caso.
Cercai il telefono per vedere se qualcuno mi avesse scritto durante la notte, ma non lo trovai da nessuna parte.
Decisi di alzarmi e accesi la luce. Compresi che quella non era la mia cameretta, ma una dannatissima cella di prigione.
Riccardo Magnani